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Arriva il 5G

Le nuove reti mobili arrivano in media una volta ogni dieci anni o giù di lì. A partire dal 1980 quando la prima generazione di telefoni cellulari era basata sulla tecnologia analogica, ogni ricambio generazionale ha portato nuove bande di frequenza, velocità più elevate e una maggiore capacità di trasmissione del flusso di dati piuttosto che la semplice trasmissione della voce. L'arrivo del 5G viene paragonato alla sostituzione di una strada di campagna con una sola corsia per il traffico con una autostrada a più corsie.  Gli operatori di telefonia mobile sperano di avere le loro reti di quinta generazione pronte entro il 2020, ma molti analisti ritengono la previsione troppo ottimistica. Il 5G sarà un vero global standard che permetterà ai viaggiatori di utilizzare i loro smartphone in qualsiasi parte del mondo, senza il fastidio di dover scambiare le sim card con quelle locali acquistate all'arrivo.  Ma cosa aspettarsi dal 5G? Al momento, una delle poche cose che si possono dire sul 5G con certezza è che, proprio per soddisfare le crescenti esigenze della società per le reti di connettività, dovrà avere una "latenza" (vale a dire il tempo di risposta) di circa un millisecondo. La velocità con cui due dispositivi possono iniziare a comunicare tra loro sulle odierne reti 4G è di circa 50 millisecondi, e circa 500 millisecondi per gli ancora ampiamente utilizzati servizi 3G. La stessa rete 4G non è neanche lontanamente abbastanza veloce per i sistemi basati sul cloud, utilizzati per trasmettere - ad esempio - istruzioni di emergenza per le auto senza conducente. Né è sufficiente per fornire una traduzione continua ai partecipanti ad una teleconferenza, figuriamoci per guidare un bisturi mentre un chirurgo sta eseguendo un'operazione di salvataggio in remoto. Molte applicazioni wireless in tempo reale avranno bisogno di latenze di un millisecondo al massimo. Un altro requisito cardine sarà la velocità di trasmissione dati di almeno un gigabit al secondo (1 Gbps) per iniziare, e molteplici gigabit al secondo in seguito. Gli utenti mobili avranno bisogno di tali requisiti per lo streaming video ad altissima definizione (ad esempio l'attuale 4k ed il futuro 8k) per i loro telefoni e tablet.  Oggi le reti 4G basate sulla tecnologia LTE possono gestire tra 10 e 100 megabit al secondo (Mbps), a seconda della configurazione e la quantità di traffico. La maggior parte dei gestori di telefonia mobile stanno ancora lanciando i loro servizi LTE, mentre alcuni hanno iniziato a installare l'ultima apparecchiature LTE-Advanced. La velocità di trasmissione massima dichiarata di LTE-A è di 1Gbps. In realtà, si avvicina a 250 Mbps. Quindi, quale sarà il miglioramento del 5G rispetto al 4G? Difficile da dire, ma dato il miglioramento di dieci volte visto rispetto alle generazioni precedenti, una rete 5G con una velocità media di download di 1 Gbps sembra realistica, con la possibilità di arrivare fino a 10 Gbps in una fase avanzata.  Va anche detto che il 5G avrà bisogno di stazioni base più vicine agli utenti rispetto alle attuali antenne cellulari. Finora, microcelle non più grandi di un modem WiFi sono state utilizzati principalmente all'interno di edifici, per superare la scarsa ricezione mobile. Per gestire le esigenze del 5G, centinaia di punti di accesso microcellulare dovranno colmare le lacune tra le antenne cellulari esistenti. Con piccole antenne collegate ai lampioni e sulle facciate dei palazzi, forse poche persone le noteranno, e magari non si opporranno alla loro presenza, come accade quando sono erette le nuove antenne cellulari.  E' forte la tentazione di pensare che, anche quando la "internet delle cose", aggiunge miliardi di dispositivi più digitali chat sulle onde radio, le basi tecnologiche di 5G offrirà un tale potenziale di larghezza di banda da rendere le future generazioni di reti mobili inutili. In effetti, alcuni architetti di rete si aspettano che il 5G sia la fine della linea; tutto quello che verrà dopo - sostengono - sarà solo qualche miglioramento evolutivo.  Un pensiero ottimistico. Ma il passato insegna diversamente e - soprattutto - il futuro trova sempre il modo di contrastare anche il più intelligente dei pronostici.

Arriva il 5G

Le nuove reti mobili arrivano in media una volta ogni dieci anni o giù di lì. A partire dal 1980 quando la prima generazione di telefoni cellulari era basata sulla tecnologia analogica, ogni ricambio generazionale ha portato nuove bande di frequenza, velocità più elevate e una maggiore capacità di trasmissione del flusso di dati piuttosto che la semplice trasmissione della voce. L’arrivo del 5G viene paragonato alla sostituzione di una strada di campagna con una sola corsia per il traffico con una autostrada a più corsie.

Gli operatori di telefonia mobile sono convinti di poter utilizzare le loro reti di quinta generazione entro il 2020, ma molti analisti ritengono la previsione troppo ottimistica. Il 5G sarà un vero global standard che permetterà ai viaggiatori di utilizzare i loro smartphone in qualsiasi parte del mondo, senza il fastidio di dover cambiare le sim card con quelle locali acquistate all’arrivo.

Ma cosa aspettarsi dal 5G? Al momento, una delle poche cose che si possono dire con certezza è che, proprio per soddisfare le crescenti esigenze  sulle reti di connettività, il 5G dovrà avere una “latenza” (vale a dire il tempo di risposta) di circa un millisecondo. La velocità con cui due dispositivi possono iniziare a comunicare tra loro sulle odierne reti 4G è di circa 50 millisecondi, e circa 500 millisecondi per gli ancora ampiamente utilizzati servizi 3G. La stessa rete 4G non è neanche lontanamente abbastanza veloce per i sistemi basati sul cloud, utilizzati per trasmettere – ad esempio – istruzioni di emergenza per le auto senza conducente. Né è sufficiente per fornire una traduzione continua ai partecipanti ad una teleconferenza, figuriamoci per guidare un bisturi mentre un chirurgo sta eseguendo un’operazione di salvataggio in remoto. Molte applicazioni wireless in tempo reale avranno bisogno di latenze di un millisecondo al massimo. Un altro requisito cardine sarà la velocità di trasmissione dati di almeno un gigabit al secondo (1 Gbps) per iniziare, e molteplici gigabit al secondo in seguito. Gli utenti mobili avranno bisogno di tali requisiti per lo streaming video ad altissima definizione (ad esempio l’attuale 4k ed il futuro 8k) per i loro telefoni e tablet.

Oggi le reti 4G basate sulla tecnologia LTE possono gestire tra 10 e 100 megabit al secondo (Mbps), a seconda della configurazione e della quantità di traffico. La maggior parte dei gestori di telefonia mobile stanno ancora lanciando i loro servizi LTE, mentre alcuni hanno iniziato a installare la più evoluta LTE-Advanced. La velocità di trasmissione massima dichiarata di LTE-A è di 1Gbps. In realtà, si avvicina a 250 Mbps. Quindi, quale sarà il miglioramento del 5G rispetto al 4G? Difficile da dire, ma dato il miglioramento di dieci volte visto rispetto alle generazioni precedenti, una rete 5G con una velocità media di download di 1 Gbps sembra realistica, con la possibilità di arrivare fino a 10 Gbps in una fase avanzata.

Va anche detto che il 5G avrà bisogno di stazioni base più vicine agli utenti rispetto alle attuali antenne cellulari. Fino ad ora microcelle non più grandi di un modem WiFi sono state utilizzate principalmente all’interno di edifici, per superare la scarsa ricezione mobile. Per gestire le esigenze del 5G, centinaia di punti di accesso microcellulare dovranno colmare le lacune tra le antenne cellulari esistenti. Saranno installate piccole antenne collegate ai lampioni e sulle facciate dei palazzi. Forse poche persone le noteranno e magari non si opporranno alla loro presenza, come accade sempre quando sono erette nuove antenne cellulari.
Si stima che, anche quando l’ “internet delle cose” aggiungerà miliardi di dispositivi in più sulle onde radio, il 5G offrirà un tale potenziale di larghezza di banda da rendere inutili le future generazioni di reti mobili. Alcuni analisti si aspettano che il 5G sia la fine della linea: tutto quello che verrà dopo – sostengono – sarà solo qualche miglioramento evolutivo.
Un pensiero ottimistico. Ma il passato ci insegna che è meglio essere realisti e – soprattutto – che il futuro trova sempre il modo di contrastare anche il più intelligente dei pronostici.

Fonte: The Economist

Legge gomma, un click per cancellare il passato

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Legge gomma, un click per cancellare il passato

Foto sconvenienti, commenti dettati dall’ira, giudizi affrettati. Capita spesso – soprattutto agli adolescenti – di pentirsi dei contenuti caricati sul web, perché anche a distanza di anni immagini, post, tweet possono creare problemi in coppia, sul lavoro o con gli amici.

Per rimediare agli “errori di gioventù” sta per arrivare in California la “legge-gomma”, una norma grazie alla quale cancellare con un semplice click e in pochissimo tempo tutte le immagini postate sul web o le altre tracce lasciate  durante la propria attività digitale. La legge diventerà realtà nel 2015, inizialmente solo per i minori di 18 anni della West Coast americana. Jerry Brown, governatore del “Golden State”, ha ufficializzato che la norma entrerà in vigore dal primo gennaio del 2015; nel frattempo i siti e i colossi di internet avranno la possibilità di adeguarsi, inserendo nelle loro opzioni quella della cancellazione dei singoli dati. Sarà un incentivo importante per allinearsi a quanto offerto già da Facebook e Twitter.

Non mancano i dubbi sulla “Eraser law”, primo su tutti quello di comprendere se l’utente che richiede una cancellazione abbia effettivamente 18 anni e risieda in California. Da segnalare, inoltre, che il provvedimento non protegge gli utenti dalla ri-pubblicazione di contenuti da parte di terzi, il “pulsante” previsto avrà effetto soltanto su immagini, post e commenti messi direttamente online dall’utente che vuole rimuoverli.

Gli italiani sempre più “onnivori digitali”

Deloitte

Deloitte

Una recente ricerca Deloitte evidenzia che quasi uno su tre possiede contemporaneamente uno smartphone, un tablet e un pc. Nel nostro Paese – si legge in un comunicato della Deloitte – la maggioranza dei consumatori li utilizza quotidianamente in maniera crescente e, molto spesso, utilizza più dispositivi contemporaneamente.
La settima edizione della survey “State of the Media Democracy”, pubblicata in questi giorni da Deloitte con dati relativi all’Italia, ha rilevato infatti che quasi un terzo degli italiani (31%) può essere considerato “onnivoro digitale”, ovvero consumatore che possiede contemporaneamente un tablet, uno smartphone e un pc. Un risultato che ci pone tra i massimi utilizzatori di questi device al mondo, al di sopra di Paesi come gli USA (26%), l’Inghilterra (25%) e la Germania (22%).
La survey “State of the Media Democracy” ha analizzato le preferenze dei consumatori di 10 Paesi (Usa, Australia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Corea del Sud, Norvegia, Spagna e Regno Unito) rilevandone le abitudini tecnologiche, i trend di consumo nel settore media & entertainment, e il comportamento nei confronti della pubblicità, dei social network, delle applicazioni mobile e delle preferenze di consumo verso i diversi device e internet.
La penetrazione della tecnologia digitale nello stile di vita dei consumatori appare un fenomeno inarrestabile” commenta Andrea Laurenza, Partner Deloitte, EMEA Media & Entertainment sector leader. “Il trend è chiaramente individuabile e, con una certa sorpresa, comune a tutti i gruppi di età analizzati nella survey. Questa nuova realtà crea importanti opportunità – e imperativi – per le organizzazioni che operano nell’industry: l’approccio multi-piattaforma nella relazione con i clienti appare oramai una necessità per affrontare la concorrenza e i potenziali nuovi entranti”.
Gli italiani vogliono essere sempre “connessi” e interagire sempre più con la rete. Dalla ricerca è infatti emerso come l’utilizzo di internet sia la modalità di entertainment preferito dal 58% del campione, più della “vecchia e cara” TV che, con il 51% delle preferenze, si ferma al secondo posto. Terza e più staccata la lettura di un libro (sia cartaceo che e-book) con il 36%.
L’uso simultaneo di diversi device elettronici ha reso ormai i consumatori sempre più multi-tasking anche nei comportamenti a casa. Basti pensare che oltre il 70% degli intervistati in Italia ha dichiarato di compiere altre azioni mentre guarda la televisione, percentuale che sale tra i consumatori più giovani. Al primo posto, mentre si guarda la tv, gli italiani navigano sul web (26%), leggono la propria e-mail (22%), oppure controllano i social network (20%).
L’affermarsi della convergenza digitale da un lato e dei social network dall’altro amplifica la voracità del consumatore che non si accontenta di guardare la TV, pur sempre protagonista del salotto di casa, ma affianca una molteplicità di comportamenti tra i quali si nota la progressiva affermazione dei second screen”, aggiunge Laurenza. “Il consumatore con tablet e smartphone interagisce con quanto sta vedendo e nel frattempo commenta e posta sui social network per condividere la sua esperienza. Questi comportamenti sono analizzati dalle aziende produttrici e distributrici di contenuti e dal mondo della pubblicità per individuare nuove modalità con cui ingaggiare il consumatore”.
Guardare il proprio programma preferito “live” in tv è ormai un’abitudine adottata da meno della metà degli italiani (49%). In progressiva affermazione troviamo invece le modalità di fruizione dei contenuti sul web oppure attraverso strumenti di registrazione e programmazione (come ad esempio, il Personal Video Recorder).
La programmazione lineare – commenta Laurenza – è sempre più affiancata sia da una lineare-flessibile, che vede modalità quali la catch up TV o similari che consentono di vedere la programmazione recente o parte di essa, sia da modalità non lineari con un modello on demand basate su catalogo”. “Il consumatore costruisce il palinsesto e si muove progressivamente verso una logica “pull” che gli consente di scegliere quali contenuti vedere e in quale momento. Lo scenario vede peraltro la prevalenza degli operatori TV che hanno dominato il mercato nell’ultimo decennio e che hanno iniziato a distribuire i contenuti in modalità over-the-top via internet, anche a causa del costo molto elevato dei contenuti premium che rappresenta la più importante barriera all’entrata”.
La ricerca ha evidenziato inoltre come la metà del campione sarebbe disposto a pagare un prezzo maggiore per avere una velocità di connessione più elevata. Non solo, il 67% ha dichiarato di essere propenso ad utilizzare maggiormente internet e i relativi contenuti on line se avesse a disposizione una connessione più rapida, una percentuale molto più alta di USA (56%), Inghilterra (52%) e Germania (30%). L’esigenza è maggiormente sentita tra i possessori di tablet, dove raggiunge il 73%.
Una maggiore velocità di download è uno degli elementi necessari, anche se non sufficienti, per supportare la piena affermazione della TV su internet” conclude Laurenza. “I pure player in questo ambito come Netflix e Lovelfilm sono grandi consumatori di banda – 1/3 del traffico USA alle otto di sera è generato da Netflix – e un collegamento stabile e a grande capacità consente di distribuire contenuti anche in HD”.

I rischi della sintesi (su Twitter)

Enrico Letta

Enrico Letta

Come riporta l’edizione odierna di Libero anche il premier Enrico Letta sarebbe incorso in uno strafalcione 2.0. Al termine del Consiglio dei Ministri di mercoledì il premier invia dunque un tweet al presidente della Ue Herman Van Rompuy per informarlo che «Oggi il governo italiano ha approvato un piano nazionale da 1.500 milioni contro la disoccupazione giovanile prima del Consiglio europeo di domani». Il tweet è in inglese, lingua che Letta è solito padroneggiare, ma probabilmente non in questo caso: «The italian government today approuved a 1.500 ml€ national plan against youth unemployment before the tomorrow Eu Council meeting». Intanto c’è un «approuved» due volte sbagliato: primo perché si scrive senza «u», e poi perché il verbo più corretto da usare sarebbe un altro, «passed». Alla riga successiva, poi, c’è un «tomorrow» la cui traduzione in «di domani» richiede un pò di coraggio. Il destinatario del tweet, Van Rompuy, pare non essersi accorto degli errori non avendo ancora risposto al premier italiano. O forse si, ma preferisce un diplomatico silenzio.

Italiani matti per il mobile advertising

Mobile Advertising

Mobile Advertising

Il mobile advertising (la pubblicità su tablet e smartphone) tra il 2011 e il 2012 ha conosciuto un’espansione incredibile, tanto che ad esempio, sulle prime 100 aziende, ben 62 hanno già un’app per iPhone. Un business sicuramente da tenere d’occhio, soprattutto se si considera che il 40 per cento degli utenti degli smartphone clicca sulle pubblicità e 3 persone su 4 ne scaricano le app o accedono ai vari siti.

Secondo una ricerca dell’Osservatorio Mobile Marketing & Service della School of Management del Politecnico di Milano gli smartphone sono entrati a far parte delle abitudini degli italiani. Oltre la metà dei possessori di un cellulare oggi sono passati a questa nuova tecnologia e difficilmente torneranno indietro. Il 61 per cento di loro infatti trascorre più di un’ora al giorno su internet, collegandosi dal proprio dispositivo mobile.

Dati che fino a qualche anno fa erano impensabili, ma che oggi sono una realtà sempre più concreta. In una situazione del genere, è chiaro che per quelle aziende che scelgono di interagire con i clienti tramite questi dispositivi, le possibilità aumentano in maniera esponenziale. Con una crescita del 55% nel 2012, la pubblicità sui cellulari tocca i 90 milioni di euro, conquistando sempre più spazio sul digital (attualmente copre il 7% degli investimenti ma nel 2013 si stima arriverà a quota 10%). A fare ben sperare non sono solo le aziende (i cosiddetti top-spender hanno triplicato il numero di app), ma soprattutto i consumatori.

Secondo la fotografia scattata dall’Osservatorio Mobile Marketing & Service della School of Management del Politecnico di Milano, il 60% degli utenti utilizza di frequente gli m-site (i siti ottimizzati per i cellulari) e il 40% clicca sugli annunci pubblicitari. Più in generale, gli smartphone conquistano il 50% dei possessori dei cellulari, dieci punti in più rispetto al 2011. Incredibilmente l’Italia si conferma in questo campo migliore, anche se di poco, rispetto a Francia,  Germania e Spagna. Personal e geolocal saranno i trend su cui scommettere in futuro, mentre in termini di formati pubblicitari cresceranno il comparto Search e il Display Adv su app e mobile site. Spazio anche allo sviluppo di soluzioni graficamente più coinvolgenti, come i rich media (banner interattivi e coinvolgenti e video Hd a tutto schermo) e a una maggiore integrazione del mobile in iniziative cross mediali con forti sinergie anche con mezzi classici, come la televisione (si pensi, ad esempio, a pubblicità simultanee e integrate su tv e smartphone).

I numeri parlano chiaro e meriterebbero la giusta attenzione da parte delle istituzioni. Troppo spesso si sente parlare di Agenda Digitale e di internet veloce mentre la realtà è ben diversa: il digital divide in Italia è ancora forte e la rete mobile veloce ha gravi carenze fuori dalle grandi città. Di frequente accade che l’installazione di nuove antenne sia osteggiata e bloccata da enti locali e comitati civici.
E’ chiaro che il mobile advertising sarà la pubblicità del futuro ed avrà evoluzioni tecnologiche parallele a quelle dei device e del web. Per agevolare tutto ciò e le relative ricadute occupazionali bisognerebbe lavorare sugli incentivi al settore e sullo sviluppo della banda larga mobile. A chiederlo sono i milioni di italiani che ogni giorno utilizzano uno smartphone per collegarsi al web.

fonte: PubblicitàItalia

Wi-Fi libero…finalmente

Wi-Fi

Arriva sulla Gazzetta Ufficiale la decisione di liberalizzare il Wi-Fi. Una svolta dopo mesi di dibattito e polemiche intorno all’opportunità di modificare il decreto Pisanu che, promulgato all’indomani degli attenti terroristici di matrice islamica a Londra nel 2005, imponeva serrati controlli nella gestione degli hotspot Wi-Fi pubblici. Il decreto “Milleproroghe” mette fine a cinque anni di critiche da parte degli utenti e dei gestori dei punti Internet e locali pubblici costretti a una noiosa e continua identificazione degli utenti

L’unica imposizione rimasta in vigore (fino al 31 dicembre 2011) riguarda gli esercenti degli Internet point : chiunque vorrà aprire questo tipo di attività dovrà richiedere l’autorizzazione alla questura. Tutti gli altri alberghi e ristoranti, ad esempio potranno fornire la connessione wireless o con qualunque altro tipo di tecnologia a proprio uso e consumo e in maniera completamente discrezionale.

Si tratta di un cambiamento di rotta che ha messo tutti d’accordo: il popolo della Rete e le istituzioni, la maggioranza e l’opposizione. Finalmente.

Fonte: webmasterpoint.org