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La mossa di Silvio

Il dibattito politico sulle riforme istituzionali è in pieno fermento. Dopo la lettera di Grillo e Casaleggio al premier Renzi per proporre un nuovo incontro sulla legge elettorale, stavolta è il turno di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, per uscire dal cono d’ombra del dualismo Renzi-Grillo e per poter dire ancora la sua sulle riforme istituzionali, rilancia il presidenzialismo. L’ex premier è convinto che l’incontro tra il leader del Pd e quello del M5S sarà l’ennesima bolla di sapone e per questo Renzi dovrà accordarsi con Forza Italia per portare avanti le riforme.  Berlusconi propone tre iniziative per arrivare al presidenzialismo: la riproposizione in Senato degli emendamenti Gasparri per l’elezione diretta del capo dello Stato; la presentazione di una proposta di legge costituzionale e infine un referendum confermativo per chiedere ai cittadini l’approvazione della scelta presidenzialista. Le tre iniziative hanno due obiettivi: far uscire allo scoperto Renzi, che spesso si è dichiarato favorevole a maggiori poteri per l’esecutivo, e soprattutto lanciare un segnale all’intero popolo dei moderati che in questo momento vive con un certo malessere l’assenza di una leadership e di una strategia chiara. Presentando alla Camera con Renato Brunetta e Paolo Romani la proposta sul presidenzialismo, Berlusconi afferma: «Dobbiamo dare il diritto ai cittadini di eleggere direttamente il Capo dello Stato. Renzi, il governo e la sinistra accolgano questa nostra proposta, Se ci fosse un accordo - aggiunge - sugli emendamenti che abbiamo presentato, si darebbe al Paese un sistema snello».  Sulle riforme, l’ex premier assicura: «Smentisco le accuse che dicono che noi non abbiamo una posizione chiara. Siamo l'opposizione liberale, di centrodestra a un governo di sinistra tenuto in piedi, ahimè da una stampella di 30 senatori, eletti dal centrodestra ma diventati lo sgabello su cui è seduta la sinistra».  E sul progetto del nuovo Senato Berlusconi manda un messaggio a Renzi: «La riforma del Senato squilibra lo Stato a favore dell'Anci e lo consegna alla sinistra. Forza Italia - precisa il Cavaliere -  mantiene gli impegni con Renzi ma c'è ancora da trovare l'intesa sull'elezione dei senatori ed io sono sicuro che la troveremo». Non manca una stoccata all’attuale inquilino del Quirinale: «E' passato al di là delle funzioni previste dalla Costituzione». Intanto domani è previsto un primo incontro tra Paolo Romani ed il ministro per le riforme Maria Elena Boschi.

La mossa di Silvio

Il dibattito politico sulle riforme istituzionali è in pieno fermento. Dopo la lettera di Grillo e Casaleggio al premier Renzi per proporre un nuovo incontro sulla legge elettorale, stavolta è il turno di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, per uscire dal cono d’ombra del dualismo Renzi-Grillo e per poter dire ancora la sua sulle riforme istituzionali, rilancia il presidenzialismo. L’ex premier è convinto che l’incontro tra il leader del Pd e quello del M5S sarà l’ennesima bolla di sapone e per questo Renzi dovrà accordarsi con Forza Italia per portare avanti le riforme.
Berlusconi propone tre iniziative per arrivare al presidenzialismo: la riproposizione in Senato degli emendamenti Gasparri per l’elezione diretta del capo dello Stato; la presentazione di una proposta di legge costituzionale e infine un referendum confermativo per chiedere ai cittadini l’approvazione della scelta presidenzialista. Le tre iniziative hanno due obiettivi: far uscire allo scoperto Renzi, che spesso si è dichiarato favorevole a maggiori poteri per l’esecutivo, e soprattutto lanciare un segnale all’intero popolo dei moderati che in questo momento vive con un certo malessere l’assenza di una leadership e di una strategia chiara.
Presentando alla Camera con Renato Brunetta e Paolo Romani […]

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Europee: il vincitore e gli sconfitti

All’indomani del 25 maggio il trionfo personale di Matteo Renzi è indiscutibile. Far superare la soglia del 40% al Pd probabilmente non era nemmeno nei sogni del premier. Ancor di più impensabile era immaginare di doppiare il M5S, quando i sondaggi riservati degli ultimi giorni davano per certo un testa a testa Renzi-Grillo. Il carattere storico della vittoria del Pd lo danno i numeri – nemmeno ai tempi di Berlinguer la sinistra è mai arrivata a tali percentuali – ma soprattutto il contesto europeo, dove i partiti al governo escono sonoramente sconfitti. Merkel a parte, in Francia e Gran Bretagna avanza la destra anti-euro con Front National e Ukip che volano e consentono a Marine Le Pen e Nigel Farage di far tremare rispettivamente Hollande e Cameron.  Il grande sconfitto di queste elezioni europee è senza dubbio Beppe Grillo. Ottenere solo il 21% dopo una campagna elettorale condotta all’insegna del sorpasso sul Pd dimostra l’inconsistenza del M5S alla prova dei fatti. Dopo un anno di presenza in Parlamento è svanito l’effetto novità dei grillini e la scelta di puntare tutto sugli attacchi a Renzi si è dimostrata perdente nelle urne, nonostante la straordinaria partecipazione nelle piazze. Adesso si apre un grande interrogativo sul futuro del movimento: riuscirà a mantenere la carica vitale che lo ha contraddistinto fino ad ora oppure rischia di implodere? Intanto circolano voci di un clamoroso ritiro di Grillo. Nonostante le attenuanti del caso, esce a pezzi anche Forza Italia con appena il 16,8%. Berlusconi era impossibilitato a far la campagna elettorale per le note vicende giudiziarie e poteva sicuramente andare peggio, soprattutto perché l’intero centrodestra supera comunque il 30%. Il problema - storico e di non poco conto - è la divisione interna e la mancanza di una nuova leadership credibile. E’ arrivato il turno di Marina? Vedremo.  Buon risultato per la Lega di Matteo Salvini che strappa un importante 6%. Il nuovo corso del giovane segretario sta facendo dimenticare la gestione Bossi e, quando ci sarà da ricostruire il centrodestra, Salvini potrà dire la sua.  Vero desaparecido è l’ex premier Mario Monti con la sua Scelta Civica che si dissolve come neve al sole e lascia in eredità al Pd il 9% ottenuto alle politiche scorse. Delusione cocente per il Nuovo Centrodestra di Alfano, che supera a stento lo sbarramento del 4% , nonostante i sondaggi gli assegnassero almeno un paio di punti in più. Difficile prentendere di essere l’alternativa a Berlusconi con tali percentuali. Per un soffio supera il 4% anche l’Altra Europa con Tsipras: un segnale importante per far crescere un’area più progressista alla sinistra del Pd. Non bissa il miracolo Fratelli d’Italia-An di Giorgia Meloni; per raddoppiare i voti in appena un anno non basta riproporre il simbolo di Alleanza nazionale. E adesso che succede? Renzi è atteso da sfide ancora più importanti. Dopo aver ottenuto una forte legittimazione elettorale, sarà interessante vedere come si comporterà con i suoi alleati - Alfano e montiani - usciti fortemente ridimensionati dalle urne. Sceglierà la strada del rimpasto o punterà tutto su elezioni anticipate, sfruttando l’onda lunga del consenso ottenuto? Altrettanto interessante sarà scoprire l’atteggiamento che avrà il segretario del Pd con i suoi storici avversari interni.

Elezioni europee: il vincitore e gli sconfitti

All’indomani del 25 maggio il trionfo personale di Matteo Renzi è indiscutibile. Far superare la soglia del 40% al Pd probabilmente non era nemmeno nei sogni del premier. Ancor di più impensabile era immaginare di doppiare il M5S, quando i sondaggi riservati degli ultimi giorni davano per certo un testa a testa Renzi-Grillo. Il carattere storico della vittoria del Pd lo danno i numeri – nemmeno ai tempi di Berlinguer la sinistra è mai arrivata a tali percentuali – ma soprattutto il contesto europeo, dove i partiti al governo escono sonoramente sconfitti. Merkel a parte, in Francia e Gran Bretagna avanza la destra anti-euro con Front National e Ukip che volano e consentono a Marine Le Pen e Nigel Farage di far tremare rispettivamente Hollande e Cameron.

Il grande sconfitto di queste elezioni europee è senza dubbio Beppe Grillo. Ottenere solo il 21% dopo una campagna elettorale condotta all’insegna del sorpasso sul Pd dimostra l’inconsistenza del M5S alla prova dei fatti. Dopo un anno di presenza in Parlamento è svanito l’effetto novità dei grillini e la scelta di puntare tutto sugli attacchi a Renzi si è dimostrata perdente nelle urne, nonostante la straordinaria partecipazione nelle piazze. Adesso si apre un grande interrogativo sul futuro del movimento: riuscirà a mantenere la carica vitale che lo ha contraddistinto fino ad ora oppure rischia di implodere? Intanto circolano voci di un clamoroso ritiro di Grillo.

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Prodi “il petroliere”

Romano Prodi rientra nel dibattito politico e propone la sua ricetta anti-crisi: «Trivelliamo, c'è un mare di petrolio sotto l'Italia». Abbiamo risorse energetiche da sfruttare maggiormente, come la Val d’Agri, ed altre da iniziare ad esplorare come l’Adriatico ed il Canale di Sicilia. Questo il senso della lettera che l’ex presidente delle Commissione europea ha scritto ieri al Messaggero.  In una situazione economicamente difficile - esordisce Prodi - in cui ogni governo non riesce a «reperire nuove risorse per fare fronte ai suoi molteplici impegni, […] una parte modesta ma non trascurabile di questi soldi la può semplicemente trovare scavando - non scherzo - sotto terra. Ci troviamo in una situazione curiosa, per non dire paradossale, che vede il nostro Paese al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord». L’ex premier entra anche nel dettaglio dei costi e dei benefici: «Significherebbe alleggerire la nostra bilancia dei pagamenti di circa 5 miliardi di euro  ed aumentare le entrate fiscali dello Stato di 2,5 miliardi ogni anno. Si attiverebbero investimenti  per oltre 15 miliardi». Ma Prodi è anche consapevole degli ostacoli dal punto di vista ambientale: «Mi rendo evidentemente conto che tra le mille ragioni ve ne sono parecchie che debbono essere prese seriamente in considerazione perché la sicurezza e la protezione dell’ambiente sono per tutti una priorità. Il principio di precauzione ha la precedenza su tutto. La risposta ai rischi industriali - prosegue - non è tuttavia l’impedimento a fare, ma la capacità di governarli. Il nostro Paese ha conoscenze, tecnologia, esperienza per riuscirvi ed ha una delle più severe legislazioni a tutela dell’ambiente e della sicurezza dei territori». Per l’ex presidente delle Commissione europea c’è il rischio che i nostri vicini di casa possano sfruttare prima di noi le risorse del sottosuolo: «Non intendo prendere in considerazione risorse energetiche che si trovano vicino alla costa. Mi limito ai giacimenti in mare aperto, il caso più clamoroso riguarda tutta la dorsale dell’Adriatico, così promettente da essere oggetto di un grandioso piano di sfruttamento da parte del governo croato, che ha recentemente chiamato a gara le grandi compagnie energetiche internazionali per sfruttare un giacimento che può fare della Croazia il “gigante energetico” d’Europa». Romano Prodi pone una questione seria e di lungo periodo. L’Italia ha rinunciato al nucleare, puntando su un mix di approvvigionamento energetico composto da petrolio, carbone, gas e rinnovabili ma la sufficienza energetica è solo un miraggio. I recenti eventi in Libia ed Ucraina ci dovrebbero far comprendere che la dipendenza energetica dall’estero ci rende eccessivamente vulnerabili. Ma non solo. Il principale aspetto negativo è il costo elevatissimo della bolletta energetica nazionale che si riversa sulle famiglie e sulle imprese, rendendo queste ultime meno competitive rispetto ai concorrenti internazionali. In più c’è il paradosso, un po’ come per il nucleare, che l’Italia ha multinazionali capaci di far investimenti in tutto il mondo tranne che nel proprio Paese.  Con la sua proposta l’ex premier ha messo – è il caso di dirlo – benzina sul fuoco in una campagna elettorale già in fiamme. Ora bisognerà attendere le reazioni dei tre principali leader: Berlusconi, Grillo e soprattutto il premier in carica, Renzi, a cui spetta l’onere maggiore. Sia perché milita nello stesso partito di Prodi, il Pd, sia perchè come capo del governo ha tutti i poteri per avviare una nuova fase della politica energetica nazionale.

Prodi propone nuove trivellazioni di petrolio in Italia

Romano Prodi rientra nel dibattito politico e propone la sua ricetta anti-crisi: «Trivelliamo, c’è un mare di petrolio sotto l’Italia». Abbiamo risorse energetiche da sfruttare maggiormente, come la Val d’Agri, ed altre da iniziare ad esplorare come l’Adriatico ed il Canale di Sicilia. Questo il senso della lettera che l’ex presidente delle Commissione europea ha scritto ieri al Messaggero.

In una situazione economicamente difficile – esordisce Prodi – in cui ogni governo non riesce a «reperire nuove risorse per fare fronte ai suoi molteplici impegni, […] una parte modesta ma non trascurabile di questi soldi la può semplicemente trovare scavando – non scherzo – sotto terra. Ci troviamo in una situazione curiosa, per non dire paradossale, che vede il nostro Paese al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord».

L’ex premier entra anche nel dettaglio dei costi e dei benefici: «Significherebbe alleggerire la nostra bilancia dei pagamenti di circa 5 miliardi di euro  ed aumentare le entrate fiscali dello Stato di 2,5 miliardi ogni anno. Si attiverebbero investimenti  per oltre 15 miliardi». Ma Prodi è anche consapevole degli ostacoli dal punto di vista ambientale: «Mi rendo evidentemente conto che tra le mille ragioni ve ne sono parecchie che debbono essere prese seriamente in considerazione perché la sicurezza e la protezione dell’ambiente sono per tutti una priorità. Il principio di precauzione ha la precedenza su tutto. La risposta ai rischi industriali – prosegue – non è tuttavia l’impedimento a fare, ma la capacità di governarli. Il nostro Paese ha conoscenze, tecnologia, esperienza per riuscirvi ed ha una delle più severe legislazioni a tutela dell’ambiente e della sicurezza dei territori».

Per l’ex presidente delle Commissione europea c’è il rischio che i nostri vicini di casa possano sfruttare prima di noi le risorse del sottosuolo: «Non intendo prendere in considerazione risorse energetiche che si trovano vicino alla costa. Mi limito ai giacimenti in mare aperto, il caso più clamoroso riguarda tutta la dorsale dell’Adriatico, così promettente da essere oggetto di un grandioso piano di sfruttamento da parte del governo croato, che ha recentemente chiamato a gara le grandi compagnie energetiche internazionali per sfruttare un giacimento che può fare della Croazia il “gigante energetico” d’Europa».

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E Grillo se la prende con Dudù

La degenerazione della politica italiana compie un nuovo passo in avanti. Dagli insulti agli esseri umani si passa alla minacce agli animali degli avversari. Le parole di Beppe Grillo durante un comizio giovedì sera a Pavia scatenano un putiferio:  «Berlusconi è diventato fuori di testa con questo cagnolino, Dudù deve essere affidato alla vivisezione». E il leader del M5S continua: «Io ce l’ho un cagnetto così, ce l’ha mia moglie. Io detesto questi cani, perché i proprietari di quei cani non amano gli animali, non amano i cani, amano il proprio cane e detestano gli altri».   Immediate le reazioni della proprietaria di Dudù, Francesca Pascale, la compagna di Berlusconi,  che replica al “Corriere del Mezzogiorno”: «È una notizia che Grillo sia favorevole alla vivisezione. Non è una notizia che per lui ammazzare non sia un reato» riferendosi alla condanna per omicidio colposo dell’ex comico. A stretto giro anche il commento dell’animalista più nota di Forza Italia, Michela Vittoria Brambilla: «È un messaggio bruttissimo, che non fa ridere. Mi meraviglia molto, Grillo fa propaganda alla vivisezione e mostra di non sapere cosa sia l’amore per gli animali» scrive sulla sua pagina Facebook. Scende in campo anche la Lega Anti Vivisezione: «Siamo doppiamente stupiti per queste affermazioni da parte di Beppe Grillo» afferma all'Adnkronos Salute, Gianluca Felicetti, presidente della LAV. «Primo, perché non si può e non si deve augurare la morte, tantomeno sotto tortura, a nessuno, nemmeno ai cani che si ritengono essere amati solo come oggetto. Secondo - prosegue Felicetti - perchè Grillo si è notoriamente e pubblicamente schierato contro la vivisezione, dunque non può e non deve nemmeno per scherzo augurarla a nessun animale. Compreso Dudù, che non ha nessuna responsabilità, preferenza o colpa nell'essere finito in casa Berlusconi, dove fra l'altro - conclude - siamo sicuri che venga trattato bene, coccolato e amato». Nella serata di venerdì arriva l’atteso dietrofront di Grillo, consapevole del polverone mediatico suscitato: «Sono da sempre contro la vivisezione, sono molto affezionato al mio cane Delirio e auspico una partito-vivisezione attraverso la democrazia» scrive su Twitter.

Dudù nel mirino di Grillo: «Deve essere affidato alla vivisezione»

La degenerazione della politica italiana compie un nuovo passo in avanti. Dagli insulti agli esseri umani si passa alla minacce agli animali degli avversari. Le parole di Beppe Grillo durante un comizio giovedì sera a Pavia scatenano un putiferio:  «Berlusconi è diventato fuori di testa con questo cagnolino, Dudù deve essere affidato alla vivisezione». E il leader del M5S continua: «Io ce l’ho un cagnetto così, ce l’ha mia moglie. Io detesto questi cani, perché i proprietari di quei cani non amano gli animali, non amano i cani, amano il proprio cane e detestano gli altri».

Immediate le reazioni della proprietaria di Dudù, Francesca Pascale, la compagna di Berlusconi,  che replica al “Corriere del Mezzogiorno”: «È una notizia che Grillo sia favorevole alla vivisezione. Non è una notizia che per lui ammazzare non sia un reato» riferendosi alla condanna per omicidio colposo dell’ex comico. A stretto giro anche il commento dell’animalista più nota di Forza Italia, Michela Vittoria Brambilla: «È un messaggio bruttissimo, che non fa ridere. Mi meraviglia molto, Grillo fa propaganda alla vivisezione e mostra di non sapere cosa sia l’amore per gli animali» scrive sulla sua pagina Facebook.

Scende in campo anche la Lega Anti Vivisezione: «Siamo doppiamente stupiti per queste affermazioni da parte di Beppe Grillo» afferma all’Adnkronos Salute, Gianluca Felicetti, presidente della LAV. «Primo, perché non si può e non si deve augurare la morte, tantomeno sotto tortura, a nessuno, nemmeno ai cani che si ritengono essere amati solo come oggetto. Secondo – prosegue Felicetti – perchè Grillo si è notoriamente e pubblicamente schierato contro la vivisezione, dunque non può e non deve nemmeno per scherzo augurarla a nessun animale. Compreso Dudù, che non ha nessuna responsabilità, preferenza o colpa nell’essere finito in casa Berlusconi, dove fra l’altro – conclude – siamo sicuri che venga trattato bene, coccolato e amato».

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A Renzi non tornano i conti

Matteo Renzi professa ottimismo, nonostante il giovedì nero in Borsa e i numeri negativi sulla crescita dell’economia italiana, con relativa impennata dello spread. Un doppio colpo per il governo in piena campagna elettorale. Prima i dati Istat sulla crescita esigua del Pil, poi lo spread che vola da 154 a 180 punti in poche ore, rischiano di mandare all’aria i sogni del governo.   In realtà, per alcuni analisti, come riporta “Affari Italiani”, se anche il secondo trimestre di quest'anno si attestasse su una flessione del Pil sarebbe necessaria una dura revisione delle coperture e delle spese. Con un prodotto interno lordo negativo sarebbe a rischio anche il rispetto degli impegni con l’Unione europea. Per rientrare nel rapporto deficit-Pil e per non sforare i parametri sul debito pubblico a settembre, potrebbe essere inevitabile una manovra economica di aggiustamento dei conti con la probabilità di nuove tasse per gli italiani.  Ma il premier non ci sta: «Non serve una nuova manovra correttiva» rassicura in un’intervista a ''Radio24'', e conferma gli ormai “mitici” 80 euro di bonus «anche per rilanciare un po' i consumi». Mentre solo per il prossimo anno dovrebbe toccare anche a partite iva, pensionati ed incapienti.  «Il nostro intervento sul cuneo fiscale è il primo taglio delle tasse di questo Paese», attacca Renzi, «ma il male vero resta la disoccupazione giovanile», facendo riferimento al decreto lavoro approvato proprio ieri in via definitiva dalla Camera. Il premier ne ha anche per la Cgil: «Non ho niente contro Camusso, ma per la firma sul rilancio di Electrolux ringrazio sempre i sindacati, però è importante che non facciano politica».  Tornando sui conti pubblici, il presidente del consiglio rivendica «l'eliminazione di tremila posti pagati dalla politica, a iniziare dai presidenti di provincia». Anche sui tagli alla Rai la vede a modo suo: «La questione non è quanto prende il singolo, ma se c'è un momento in cui la politica fa un passo indietro, se nella pubblica amministrazione si possono licenziare i dirigenti, possibile che la Rai non debba fare la sua parte?».

80 euro di Renzi

Matteo Renzi professa ottimismo, nonostante il giovedì nero in Borsa e i numeri negativi sulla crescita dell’economia italiana, con relativa impennata dello spread. Un doppio colpo per il governo in piena campagna elettorale. Prima i dati Istat sulla crescita esigua del Pil, poi lo spread che vola da 154 a 180 punti in poche ore, rischiano di mandare all’aria i sogni del governo.

In realtà, per alcuni analisti, come riporta “Affari Italiani”, se anche il secondo trimestre di quest’anno si attestasse su una flessione del Pil sarebbe necessaria una dura revisione delle coperture e delle spese. Con un prodotto interno lordo negativo sarebbe a rischio anche il rispetto degli impegni con l’Unione europea. Per rientrare nel rapporto deficit-Pil e per non sforare i parametri sul debito pubblico a settembre, potrebbe essere inevitabile una manovra economica di aggiustamento dei conti con la probabilità di nuove tasse per gli italiani.

Ma il premier non ci sta: «Non serve una nuova manovra correttiva» rassicura in un’intervista a ‘‘Radio24”, e conferma gli ormai “mitici” 80 euro di bonus «anche per rilanciare un po’ i consumi». Mentre solo per il prossimo anno dovrebbe toccare anche a partite iva, pensionati ed incapienti.

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Inchieste ed elezioni: binomio all’italiana

Come spesso accade nelle campagne elettorali italiane arriva puntuale un’inchiesta giudiziaria con arresti eccellenti. Stavolta sono ben due: la prima riguarda l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa riguardo una presunta rete di protezione per favorire la latitanza dell’ex deputato del Pdl Amedeo Matacena. La seconda inchiesta, di portata ben più vasta e trasversale, è sulle presunte tangenti per gli appalti di Expo 2015. Al di là delle considerazioni puramente giudiziarie, emerge ancora una volta un quadro sconcertante. Se da un lato Scajola, esponente non più di prima linea ma ancora importante di Forza Italia, sarebbe secondo gli inquirenti uno snodo centrale di una vasta rete criminosa in odor di mafia; dall’altro versante, quello dell’Expo, sembra di assistere al remake di Mani Pulite. Non siamo nel 1992 ma nel 2014. Scomparsi Dc, Psi e Pds ci ritroviamo Forza Italia, Pd e Ncd. A fare la parte del leone sono le imprese della Compagnia delle Opere che fa riferimento a Comunione e Liberazione e le cooperative rosse legate da sempre al Pd. Ma c’è un comun denominatore con gli anni novanta: Primo Greganti, il mitico “Compagno G” che all’epoca di Mani Pulite si fece carico di tutte le responsabilità pur di non compromettere il Pds. Stavolta il contesto è internazionale, c’è l’Expo e una valanga di miliardi per le opere pubbliche. A poco più di quindici giorni dalle elezioni è uno colpo pesante, soprattutto per il Partito democratico e per Renzi che è impegnato a trovare la copertura finanziaria per gli 80 euro di bonus promessi e non può permettersi passi falsi. Grillo si fa trovare pronto e attacca frontalmente l'Expo, chiedendone lo stop immediato. Per il leader del M5S l'Expo è «una grande abbuffata» che «va fermata subito». L’ex comico denuncia «gli scandali» di quella che definisce «la grande abbuffata Expo 2015». Il premier è oggi a Milano per incontrare gli imprenditori, discutere insieme il dossier Expo e affrontare la nomina del nuovo direttore generale. Renzi ribadisce l'impegno del governo per l'Esposizione universale del 2015: «Io preferisco perdere qualche punto nei sondaggi piuttosto che fermare questa occasione di investimenti per l'Italia. L’Expo è una grandissima opportunità per l'Italia, ma dobbiamo fermare i delinquenti e non i lavori» ha detto il premier dopo aver espresso «assoluta fiducia» nei confronti del commissario unico Giuseppe Sala. E intanto affida a Raffaele Cantone, magistrato antimafia e presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, il controllo sui lavori dell’Expo.

Inchiesta sull’Expo 2015

Come spesso accade nelle campagne elettorali italiane arriva puntuale un’inchiesta giudiziaria con arresti eccellenti. Stavolta sono ben due: la prima riguarda l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa riguardo una presunta rete di protezione per favorire la latitanza dell’ex deputato del Pdl Amedeo Matacena. La seconda inchiesta, di portata ben più vasta e trasversale, è sulle presunte tangenti per gli appalti di Expo 2015.

Al di là delle considerazioni puramente giudiziarie, emerge ancora una volta un quadro sconcertante. Se da un lato Scajola, esponente non più di prima linea ma ancora importante di Forza Italia, sarebbe secondo gli inquirenti uno snodo centrale di una vasta rete criminosa in odor di mafia; dall’altro versante, quello dell’Expo, sembra di assistere al remake di Mani Pulite.

Non siamo nel 1992 ma nel 2014. Scomparsi Dc, Psi e Pds ci ritroviamo Forza Italia, Pd e Ncd. A fare la parte del leone sono le imprese della Compagnia delle Opere che fa riferimento a Comunione e Liberazione e le cooperative rosse legate da sempre al Pd. Ma c’è un comun denominatore con gli anni novanta: Primo Greganti, il mitico “Compagno G” che all’epoca di Mani Pulite si fece carico di tutte le responsabilità pur di non compromettere il Pds. Stavolta il contesto è internazionale, c’è l’Expo e una valanga di miliardi per le opere pubbliche.

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Renzi lancia la sfida a Grillo

Renzi lancia la sfida a Grillo

Renzi lancia la sfida a Grillo

Un derby tra «rabbia e speranza». Alla direzione del Pd Matteo Renzi sceglie un paragone calcistico, piuttosto coraggioso visto il momento, per illustrare l’appuntamento delle prossime elezioni europee. Una sfida «tra chi scommette sul fallimento dell’Italia e chi pensa che l’Italia ce la può fare. Prima eravamo abituati a falchi e colombe, ora ci sono solo gufi e sciacalli» continua il premier, stavolta in ambito ornitologico. E il messaggio è indirizzato al leader del M5S: «Quando Grillo è andato a Piombino, è andato a fare lo sciacallo su una fabbrica che chiude. Io non sono tenero con i sindacati, ma l’ultimo luogo in cui andare a fare lo sciacallo è dove un’azienda come la Lucchini chiude. Noi abbiamo proposto una soluzione. Questa è la differenza tra chi scommette contro e chi scommette a favore dell’Italia». Tra l’altro in mattinata lo stesso Grillo aveva attaccato il premier paragonandolo a «Genny ’a carogna», il capo ultrà del Napoli al centro delle polemiche dopo gli spari di un tifoso della Roma prima della finale di Coppa Italia.

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Berlusconi si iscrive al fronte No Euro

Silvio Berlusconi attacca l'Euro

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi è solito usare frasi ad effetto salvo poi smentirle successivamente. Negli ultimi venti anni ci ha abituati a non stupirci mai. Da quando non ha più responsabilità istituzionali, e ancor di più da quando non è decaduto da senatore, l’ex premier ha spesso attaccato l’Europa a «trazione tedesca» e l’euro visto come «moneta straniera». Da qualche mese avversa fortemente una concezione della politica economica europea troppo rigida e poco adatta alla grave crisi che vive il Vecchio Continente.

Forte anche delle rivelazioni sempre più circoscritte di un presunto “complotto” ai danni del suo governo nell’autunno del 2011, in conseguenza delle sue minacce di far uscire l’Italia dall’euro, il leader di Forza Italia ha recentemente abbandonato quell’attendismo sull’argomento che l’aveva contraddistinto nell’ultimo periodo e ha approfittato degli auguri di Pasqua ai propri sostenitori su Twitter per ribadire che «la Banca centrale europea deve garantire il debito pubblico e stampare moneta».

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Il corpo del leader: stavolta tocca a Grillo

Domani mattina Beppe Grillo raggiungerà la Sicilia attraversando a nuoto lo Stretto di Messina per aprire la campagna elettorale del M5S. Scelta insolita, senza dubbio, come marketing elettorale ma non del tutto orginale per un leader politico. Grillo è soltanto l’ultimo epigono di leader politici (più o meno democratici) che usano il loro corpo come strumento di propaganda.

Celebri sono le immagini dell’Istituto Luce in cui Benito Mussolini nuota a beneficio dei cineoperatori e sfoggia il suo fisico nei campi mentre trebbia il grano. Erano altri tempi e c’era la propaganda di regime. Anche in Cina agli albori della rivoluzione culturale e del culto della personalità, il leader cinese Mao-Tse Tung, più che settantenne, fece una famosa nuotata nel fiume Yang-tsi per dimostrare di essere ancora nel pieno delle forze.
Tornando in Europa, sin dagli anni novanta il leader del Front National francese Jean-marie Le Pen si è fatto spesso riprendere da tv e fotografi mentre nuotava. Anche Nicolas Sarkozy durante la sua permanenza all’Eliseo ha esibito vigorose corse ed uscite in canoa (anche se le foto non ritoccate tradirono un pò di maniglie dell’amore….forse per Carlà).

Dalla Russia con furore c’è sicuramente Vladimir Putin, che ha usato il suo corpo da ex-007 del Kgb in innumerevoli varianti: da judoka a cacciatore, passando per nuotatore e pescatore. Per i presidenti americani mostrarsi mentre fanno jogging (Clinton) pedalano in mountain bike (Bush junior) o tirano a basket (Obama) non è nemmeno più una notizia.

Restando in casa nostra, invece, il binomio politica/sport soffre un pò il carattere gerontocratico nazionale e non resta che accontentarsi delle pedalate di Romano Prodi per l’Appennino e le passeggiate -poco sportive- in Costa Smeralda di Silvio Berlusconi in tenuta bianca con relativo seguito di giovani fan ed attempati amici.
Aspettiamo di vedere donne-leader con le loro esibizioni sportive come marketing politico. No, la Merkel non vale.