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Renzi promette le riforme in mille giorni

Da una riforma al mese a mille giorni per le riforme. Il premier Matteo Renzi lancia la sua nuova proposta  in una Camera dei deputati parzialmente piena, illustrando le priorità del semestre di presidenza italiano che inizia a luglio.  Sul rapporto con l’Europa, Renzi punta sull’orgoglio nazionale: «Agli italiani e alle italiane forse è mancata non tanto l’autorevolezza ma l’autostima per sentirsi protagonisti del processo europeo». In vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno a Yipres e sulle linee programmatiche del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, l’Italia porterà la propria voce con grande determinazione e convinzione, assicura Renzi, aggiungendo che «noi non accettiamo da nessuno lezioni di democrazia». «La forza del nostro Paese va oltre il risultato dei singoli partiti. L’Europa non è il luogo delle autorizzazioni. Alziamo l’asticella delle ambizioni».  «I milioni di giovani della prima guerra mondiale non sono morti perché noi ci azzuffassimo sui cavilli. Oggi - rincara il premier - siamo a un bivio molto importante» per l’Europa: il suo futuro «non dipende da chi mettiamo a fare il presidente, e l’Italia ha lavorato» per far passare questa idea. «Ci siamo impegnati, come Italia, perché si affermasse un metodo: prima di decidere chi guida decidiamo dove andare» continua il Renzi. Entrando nel merito dei dossier più significativi, il presidente del consiglio si sofferma sull’operazione Mare Nostrum: «Un’Europa che racconta tutto, nel dettaglio, di come si pesca il tonno, ma poi quando nel mare ci sono i cadaveri si volta dall’altra parte, questa Europa - ha detto - non è degna». Non basta avere una moneta in comune: o accettiamo di avere un destino in comune oppure perdiamo il ruolo dell’Europa. «Se di fronte alle tragedie dell’immigrazione dobbiamo sentirci dire “questo problema non ci riguarda”, allora - ha scandito il premier - tenetevi la vostra moneta ma lasciateci i nostri valori». E riguardo al tema scottante dei parametri economici – proprio nelle ore in cui filtra da Berlino una maggiore flessibilità - Matteo Renzi ribadisce che il rispetto delle regole non è in discussione: «Abbiamo sempre detto che rispettiamo le regole. Le abbiamo sempre rispettate e continueremo a farlo ma c’è modo e modo di affrontare le regole». «Noi, a differenza di quanto fece la Germania nel 2003 vogliamo rispettare il 3%, ma vogliamo smettere» che dall’Europa arrivi «un elenco di raccomandazioni che siano come una lista spesa che capita fra capo e collo». Per il futuro dell’Italia, il premier fa quello che gli riesce meglio: promette. Se da una parte assicura che non verrà violato il tetto del 3%, dall'altra annuncia con enfasi  «un pacchetto unitario di riforme» che si sviluppa su un «arco di tempo sufficiente, un medio periodo politico di mille giorni: dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017».  Dal fisco all'agricoltura, dal welfare alla pubblica amministrazione. Un ‘piano monstre’ che il premier però non illustra nei dettagli.  A guardar bene, le promesse sono proprio le stesse del giorno della sua prima fiducia in Parlamento.

Renzi promette le riforme in mille giorni

Da una riforma al mese a mille giorni per le riforme. Il premier Matteo Renzi lancia la sua nuova proposta in una Camera dei deputati parzialmente piena, illustrando le priorità del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea.

Proprio sul rapporto con l’Europa, Renzi punta sull’orgoglio nazionale: «Agli italiani e alle italiane forse è mancata non tanto l’autorevolezza ma l’autostima per sentirsi protagonisti del processo europeo». In vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno a Yipres e sulle linee programmatiche del semestre di presidenza, l’Italia porterà la propria voce con grande determinazione e convinzione, assicura Renzi, aggiungendo che «noi non accettiamo da nessuno lezioni di democrazia». «La forza del nostro Paese va oltre il risultato dei singoli partiti. L’Europa non è il luogo delle autorizzazioni. Alziamo l’asticella delle ambizioni».

«I milioni di giovani della prima guerra mondiale non sono morti perché noi ci azzuffassimo sui cavilli. Oggi – rincara il premier – siamo a un bivio molto importante» per l’Europa: il suo futuro «non dipende da chi mettiamo a fare il presidente, e l’Italia ha lavorato» per far passare questa idea. «Ci siamo impegnati, come Italia, perché si affermasse un metodo: prima di decidere chi guida decidiamo dove andare» […]

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La mossa di Silvio

Il dibattito politico sulle riforme istituzionali è in pieno fermento. Dopo la lettera di Grillo e Casaleggio al premier Renzi per proporre un nuovo incontro sulla legge elettorale, stavolta è il turno di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, per uscire dal cono d’ombra del dualismo Renzi-Grillo e per poter dire ancora la sua sulle riforme istituzionali, rilancia il presidenzialismo. L’ex premier è convinto che l’incontro tra il leader del Pd e quello del M5S sarà l’ennesima bolla di sapone e per questo Renzi dovrà accordarsi con Forza Italia per portare avanti le riforme.  Berlusconi propone tre iniziative per arrivare al presidenzialismo: la riproposizione in Senato degli emendamenti Gasparri per l’elezione diretta del capo dello Stato; la presentazione di una proposta di legge costituzionale e infine un referendum confermativo per chiedere ai cittadini l’approvazione della scelta presidenzialista. Le tre iniziative hanno due obiettivi: far uscire allo scoperto Renzi, che spesso si è dichiarato favorevole a maggiori poteri per l’esecutivo, e soprattutto lanciare un segnale all’intero popolo dei moderati che in questo momento vive con un certo malessere l’assenza di una leadership e di una strategia chiara. Presentando alla Camera con Renato Brunetta e Paolo Romani la proposta sul presidenzialismo, Berlusconi afferma: «Dobbiamo dare il diritto ai cittadini di eleggere direttamente il Capo dello Stato. Renzi, il governo e la sinistra accolgano questa nostra proposta, Se ci fosse un accordo - aggiunge - sugli emendamenti che abbiamo presentato, si darebbe al Paese un sistema snello».  Sulle riforme, l’ex premier assicura: «Smentisco le accuse che dicono che noi non abbiamo una posizione chiara. Siamo l'opposizione liberale, di centrodestra a un governo di sinistra tenuto in piedi, ahimè da una stampella di 30 senatori, eletti dal centrodestra ma diventati lo sgabello su cui è seduta la sinistra».  E sul progetto del nuovo Senato Berlusconi manda un messaggio a Renzi: «La riforma del Senato squilibra lo Stato a favore dell'Anci e lo consegna alla sinistra. Forza Italia - precisa il Cavaliere -  mantiene gli impegni con Renzi ma c'è ancora da trovare l'intesa sull'elezione dei senatori ed io sono sicuro che la troveremo». Non manca una stoccata all’attuale inquilino del Quirinale: «E' passato al di là delle funzioni previste dalla Costituzione». Intanto domani è previsto un primo incontro tra Paolo Romani ed il ministro per le riforme Maria Elena Boschi.

La mossa di Silvio

Il dibattito politico sulle riforme istituzionali è in pieno fermento. Dopo la lettera di Grillo e Casaleggio al premier Renzi per proporre un nuovo incontro sulla legge elettorale, stavolta è il turno di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, per uscire dal cono d’ombra del dualismo Renzi-Grillo e per poter dire ancora la sua sulle riforme istituzionali, rilancia il presidenzialismo. L’ex premier è convinto che l’incontro tra il leader del Pd e quello del M5S sarà l’ennesima bolla di sapone e per questo Renzi dovrà accordarsi con Forza Italia per portare avanti le riforme.
Berlusconi propone tre iniziative per arrivare al presidenzialismo: la riproposizione in Senato degli emendamenti Gasparri per l’elezione diretta del capo dello Stato; la presentazione di una proposta di legge costituzionale e infine un referendum confermativo per chiedere ai cittadini l’approvazione della scelta presidenzialista. Le tre iniziative hanno due obiettivi: far uscire allo scoperto Renzi, che spesso si è dichiarato favorevole a maggiori poteri per l’esecutivo, e soprattutto lanciare un segnale all’intero popolo dei moderati che in questo momento vive con un certo malessere l’assenza di una leadership e di una strategia chiara.
Presentando alla Camera con Renato Brunetta e Paolo Romani […]

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L’editto cinese di Renzi

«Sulle riforme non lascio a nessuno il diritto di veto: conta più il voto degli italiani che i veti di qualche politico che vuole bloccare le riforme» sbotta il premier Renzi davanti ad una platea di imprenditori italiani durante il viaggio istituzionale in Cina, appena gli giungono notizie da Roma. Il riferimento, neanche troppo velato, è rivolto all’ennesima polemica interna sulle riforme istituzionali che sta vivendo il Pd in una giornata nera per governo e maggioranza, andati sotto alla Camera sull’emendamento della Lega che istituisce la responsabilità civile per i magistrati. «Tecnicamente parlando è quella che si può definire una tempesta in un bicchier d'acqua» prova a sdrammatizzare Renzi. Ma l'incidente di ieri sulla giustizia è un altro colpo al governo, che anche al Senato si ritrova in affanno sulle riforme a causa dei numeri risicati della maggioranza. Scatta così la seconda epurazione in due giorni: dopo Mario Mauro, sostituito l’altro giorno da Casini, ieri è toccata a Corradino Mineo, il giornalista Rai estromesso dai membri Pd della commissione Affari costituzionali del Senato. Lo ha deciso ieri sera a larga maggioranza l'ufficio di presidenza del gruppo, che ha indicato come membro permanente il capogruppo Luigi Zanda. La posizione contraria di Mineo alla riforma del Senato voluta da Renzi era nota da tempo ed il suo voto era determinante in commissione. Si apre così un effetto domino sulle sosituzioni dei componenti Pd delle varie commissioni parlamentari. I renziani provano a serrare i ranghi tentando una prova di forza con l’opposizione interna, proprio per evitare di dover sottostare a veti futuri. Dopo ‘l’editto’ di Renzi dalla Cina il clima all’interno del Partito democratico si fa incandescente. Il primo a farsi sentire è Pippo Civati, per il quale la sostituzione di Mineo è «l'episodio più grave di una legislatura. È un errore politico: il vero problema è che Berlusconi non vota la riforma di Renzi, che non ha i numeri al Senato e se la prende con chi pone solo una questione di merito». Lo stesso Mineo considera la sua vicenda «un autogol per il governo e per il partito».  La resa dei conti è in programma sabato all’assemblea nazionale del Pd con il premier di ritorno dall’Asia pronto a rilanciare la posta in gioco, sapendo che stavolta ha dalla sua parte l’ottimo risultato elettorale delle europee. Se Renzi vuole davvero dare un seguito agli annunci degli ultimi mesi, è giunto il momento di dimostrare la sua determinazione, a cominciare dall’interno del suo partito.

L’editto cinese di Renzi

«Sulle riforme non lascio a nessuno il diritto di veto: conta più il voto degli italiani che i veti di qualche politico che vuole bloccare le riforme» sbotta il premier Renzi davanti ad una platea di imprenditori italiani durante il viaggio istituzionale in Cina, appena gli giungono notizie da Roma.

Il riferimento, neanche troppo velato, è rivolto all’ennesima polemica interna sulle riforme istituzionali che sta vivendo il Pd in una giornata nera per governo e maggioranza, andati sotto alla Camera sull’emendamento della Lega che istituisce la responsabilità civile per i magistrati. «Tecnicamente parlando è quella che si può definire una tempesta in un bicchier d’acqua» prova a sdrammatizzare Renzi.

Ma l’incidente di ieri sulla giustizia è un altro colpo al governo, che anche al Senato si ritrova in affanno sulle riforme a causa dei numeri risicati della maggioranza. Scatta così la seconda epurazione in due giorni: dopo Mario Mauro, sostituito l’altro giorno da Casini, ieri è toccata a Corradino Mineo […]

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Il “niet” di Napolitano al complotto

Dopo oltre ventiquattro ore dalle rivelazioni dell’ex segretario Usa al Tesoro, Timothy Geithner, sul presunto complotto nel 2011 ai danni del governo Berlusconi giungono le prime reazioni del Quirinale. Il presidente della Repubblica non è mai stato a conoscenza di «pressioni e coartazioni subite dal presidente del Consiglio nei momenti e nei luoghi di recente evocati» in merito agli eventi che portarono alle dimissioni di Silvio Berlusconi dalla carica di presidente del Consiglio. «Le dimissioni liberamente e responsabilmente rassegnate il 12 novembre 2011 dal presidente Berlusconi e già preannunciate l'8 novembre - riferisce una nota - non vennero motivate se non in riferimento, in entrambe le circostanze, a eventi politico-parlamentari italiani».   Napolitano sembra quasi non voler dare penso alle polemiche divampate e prova a gettare acqua sul fuoco rimandando al discorso tenuto al Quirinale il 20 dicembre 2011 in occasione della Cerimonia di scambio degli auguri con i rappresentanti delle istituzioni e delle forze politiche: «In quel discorso - spiega la nota - così come nel messaggio televisivo del 31 dicembre, possono ritrovarsi tutte le motivazioni relative a fatti politici interni e a problemi di fondo del paese come quelli della crisi finanziaria ed economica che l'Italia stava attraversando nel contesto europeo».  Una risposta netta, anche se tardiva, a chi lo aveva chiamato in causa non solo come prima carica istituzionale ma soprattutto come testimone diretto di quel delicato passaggio politico-parlamentare. Ieri Silvio Berlusconi durante una manifestazione elettorale a Roma: «Un ministro della prima amministrazione di Obama ha fatto affermazioni, che lasciano pochi dubbi, in cui ha raccontato come nel G20 di Cannes per due volte Merkel e Sarkozy convocarono una riunione che aveva una finalità e cioè far sì che nostro paese fosse colonizzato e, con la sospensione del potere del governo, lasciato alla Troika».  Il leader di Forza Italia, apprendendo in diretta le parole del Quirinale, non trattiene la rabbia attaccando anche i giornali che «non hanno riportato in prima pagina» le reazioni in seguito alle dichiarazioni dell’ex ministro Usa.  Ma stavolta al centro del mirino dell’ex premier c’è anche l’attuale inquilino di Palazzo Chigi che, nel corso della sua intervista a “Ballarò”, la sera prima aveva liquidato le denunce di Forza Italia con una delle sue battute: «siamo al diciassettesimo complotto».

Il “niet” di Napolitano al complotto contro Berlusconi

Dopo oltre ventiquattro ore dalle rivelazioni dell’ex segretario Usa al Tesoro, Timothy Geithner, sul presunto complotto nel 2011 ai danni del governo Berlusconi giungono le prime reazioni del Quirinale. Il presidente della Repubblica non è mai stato a conoscenza di «pressioni e coartazioni subite dal presidente del Consiglio nei momenti e nei luoghi di recente evocati» in merito agli eventi che portarono alle dimissioni di Silvio Berlusconi dalla carica di presidente del Consiglio. «Le dimissioni liberamente e responsabilmente rassegnate il 12 novembre 2011 dal presidente Berlusconi e già preannunciate l’8 novembre – riferisce una nota – non vennero motivate se non in riferimento, in entrambe le circostanze, a eventi politico-parlamentari italiani».

Napolitano sembra quasi non voler dare penso alle polemiche divampate e prova a gettare acqua sul fuoco rimandando al discorso, tenuto al Quirinale il 20 dicembre 2011, in occasione della Cerimonia di scambio degli auguri con i rappresentanti delle istituzioni e delle forze politiche: «In quel discorso – spiega la nota – così come nel messaggio televisivo del 31 dicembre, possono ritrovarsi tutte le motivazioni relative a fatti politici interni e a problemi di fondo del paese come quelli della crisi finanziaria ed economica che l’Italia stava attraversando nel contesto europeo».

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Riforme, ennesima puntata

Colloquio Napolitano Renzi

Colloquio Napolitano Renzi

Il milione di pellegrini che ha invaso Roma per assistere alla canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII non è al corrente del consueto spettacolo che sta offrendo la politica italiana in queste ore.  La Roma dei palazzi della politica freme, ma non solo per l’imminente inizio della campagna elettorale per le europee. Sabato si è svolto un colloquio al Quirinale sulle riforme istituzionali tra il Presidente della Repubblica Napolitano ed il premier Renzi, come peraltro annunciato da un “fuorionda” durante le celebrazioni del 25 aprile.

Al centro della discussione le frizioni tra il capo dell’esecutivo e Forza Italia, in seguito alle dichiarazioni di Berlusconi che in settimana aveva definito «incostituzionale» la nuova legge elettorale se concomitante alla riforma del Senato.

L’obiettivo del governo è approvare la riforma del Senato in prima lettura entro la data delle elezioni europee.

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